Neapolis, un racconto epico e umano

Eccomi qui. 

Come promesso e anticipato, con questo post chiudo la settimana dedicata ai brevi approfondimenti su Neapolis e i primi due romanzi Il richiamo della Sirena e I signori dei cavalli di quella che si preannuncia essere una futura appassionante saga. 


L'uscita, lo scorso 25 gennaio, del secondo volume, ha portato con sé anche una nuova versione, riveduta e ampliata, del romanzo d'esordio dell'appassionate ciclo dei racconti della Sirena.

Nella breve intervista, Marino Maiorino mi ha raccontato, vi ha raccontato, contenuti e differenze tra le due pubblicazioni, sintetizzando accadimenti e personaggi. 

Centrale è il ruolo della Sirena Parthenope, collante tra le vicende prima di tutto umane di questi primi due capitoli che si muovono nella direzione di una profonda ricerca e riscoperta dei momenti più fulgidi vissuti da Neapolis.

La dimensione eroica è molto forte, come è forte l'impronta epica sapientemente utilizzata nella narrazione. E se nel primo romanzo il racconto si muove su una linea narrativa che vede la Neapolis greca al centro di una vicenda fatta di inganni e intrighi, nel secondo l'autore si concentra su una dimensione storica più complessa. 

Vi ritroverete catapultati in una storia fatta di uomini, eroi, valori e divinità. Una vicenda che vi catturerà anche per la scrittura e lo stile dell'autore, e non solo per le appassionanti vicende narrate. Una storia tutta da leggere e godere. 

Per chi non avesse avuto occasione, vi ripropongo di seguito l'intervista fatta all'autore, in attesa della diretta Instagram di domani pomeriggio alle ore 18 (@mgporceddujournalist)


INTERVISTA A MARINO MAIORINO

Come e quando è nato Neapolis - I signori dei cavalli?

Già mentre raccoglievo il materiale per Neapolis - Il richiamo della Sirena mi ero imbattuto qui e lì in episodi che avevano stuzzicato la mia curiosità. Ricordo che a un tratto, consultando su Google Libri la copia fotostatica di uno di quei volumi del '600 ai quali mi sarebbe stato altrimenti impossibile accedere, trovai il commento di un uomo d'armi che si rivolgeva a un nobiluomo napoletano, apprezzando (cito a spanne): il vostro Hegeas, capitano di cavalleria, che mise in fuga Annibale.

Di uno scontro del genere, per quanto i miei insegnanti abbiano seguito il programma scolastico degli anni '70, non ricordavo nulla, sicché ho ricercato un altro po' e ho trovato il paragrafo di Tito Livio che, confermando il fatto d'armi, ha acceso la scintilla.

Il come è stato molto più articolato: avevo paura di affrontare la stesura di un romanzo dove vi fosse anche solo l'ombra di un personaggio tanto noto come Annibale. Come si fa a distogliere l'attenzione da personaggi di quel calibro? Però documentandomi raccoglievo anche quegli elementi che rendevano la vicenda più interessante, notavo quelle mezze verità che sono il sugo di una ricerca del genere, finché capii che la storia di Hegeas meritava di essere riscoperta nel filone del mio ciclo dedicato alla Sirena Parthenope.

Hegeas e Annibale sono alcuni dei personaggi che si muovono in una vicenda affascinante e complessa. Cerchiamo di riassumere i contenuti principali del tuo romanzo. 

È la vita del comandante della cavalleria neapolitana ai tempi della Seconda Guerra Punica, quella contro Annibale. Neapolis è ancora città greca, Roma ha un potere non ancora totale sulla penisola italiana, e quindi il romanzo mette in luce la varietà di questo territorio, i suoi contrasti, le lotte e le alleanze.

C'è un tentativo di mettere in luce l'apprezzata tradizione equestre campana e napoletana, un elemento che non avevo avuto modo di introdurre nel primo romanzo.

È anche un romanzo sulla paternità, sul significato dell'orgoglio, sul senso di appartenenza a una comunità, sul potere. Sono naturalmente ripresi elementi del primo Neapolis, come il senso dell'impegno. Insomma, ho tentato ancora una volta di ritrarre vite normali nella veste di un romanzo storico.

Nonostante quella raccontata sia una vicenda romanzata è, infatti, molto forte l'impronta storica che la caratterizza. Come si è svolta la ricerca, in tal senso, per questo secondo volume?

La ricerca è stata basata sui confronti tra diverse fonti: una volta appurato che l'episodio era stato reale, ne sono seguite una serie di conseguenze. La prima traccia, quella del tomo del '600, suggeriva addirittura che Annibale fosse stato sconfitto dalla cavalleria neapolitana, mentre Livio era esplicito nel narrare un più triste epilogo. Il confronto tra fonti diverse è dunque stato fondamentale per verificare e stabilire di volta in volta quale fosse il fondamento di un sentito dire o di un'iperbole celebrativa.

Poi ho dovuto costantemente tener presente che ogni epoca ha filtrato quello che leggevo con la propria ottica e l'ha presentato dal proprio punto di vista. Si fa un gran parlare delle radici greche e romane della nostra cultura, ma abbiamo totalmente dimenticato il senso dello Stato, della polis, della comunità che caratterizzavano quelle società! Era un'epoca non ancora corrotta dal capitalismo selvaggio, priva del lucido calcolo introdotto dal secolo dei lumi, la morale giudaico-cristiana era di là da venire (sebbene la filosofia pitagorica e quella socratica avessero già affrontato certi temi a noi cari). Insomma, leggere i testi di un'epoca richiede la capacità di interpretarli culturalmente! Io non vanto la capacità di saperlo fare e fortunatamente presto molta attenzione alle note dei commentatori più seri. Leggevo cavaliere, ma ho dovuto imparare cos'era la cavalleria del III sec. a.C., e quindi dagli scritti di Senofonte e commentatori successivi! Leggo amore, ma quella parola non ha nulla a che vedere col senso che diamo allo stesso vocabolo nel XXI secolo!

Dopo quest'opera di traduzione ai giorni nostri ho potuto finalmente vedere quanto fosse realmente straordinaria la storia nella quale ero inciampato.

Da lì è stato un continuo districare fili narrativi, perché le mie fonti erano per la maggior parte cronache, alle volte supportate o contrastate dall'archeologia, e le vicende di un numero incredibile di personaggi che sembravano seguire una narrazione lineare seguendo le peripezie del generale cartaginese, si intorcinavano quando cercavo di seguire il filo legato a Neapolis e alla sua sorte. Alla fine, molto materiale storico è stato riconsiderato, rivalutato, analizzato, e le vicende di molti altri personaggi possono essere apprezzate sotto una nuova luce.

Di fatto, I signori dei cavalli mi ha lasciato il materiale per un’altra opera con la quale si è sviluppato quasi in simbiosi…

Molto interessante, una bella anticipazione! Ma restiamo su I Signori dei cavalli, i cui contorni sono anche quelli di una indubbia epicità. La strutturazione stessa del romanzo parte con un proemio. Perché questa scelta narrativa, al di là, naturalmente, dei contenuti che ben si prestano?

La risposta è semplice: sospensione dell'incredulità. Credo che il lettore sigilla (lo credo fermamente, quindi al bando i congiuntivi) un patto con lo scrittore nel momento stesso in cui apre la pagina: quel gesto è l'esplicita accettazione a essere condotto ovunque lo scrittore voglia condurlo.

Ora, come relazionarmi con un lettore che sa già di leggere un romanzo ambientato in una certa epoca, che la copertina e il titolo presentano in un certo modo, che la quarta di copertina tratteggia? Il gioco di accompagnarlo piano piano nell'epoca dell'azione, introducendo poco a poco elementi caratteristici del tempo, non ha senso.

È certamente un atto prepotente, quasi una forzatura, ma credo che una mezza misura sarebbe stata per me più difficile da gestire, perché quando ti mantieni al limite di uno stile c'è sempre una maggior probabilità di perderne traccia strada facendo, e avrei per l'appunto rotto la magia: la sospensione dell'incredulità.

Spero che però tu abbia notato anche che il linguaggio del testo non soffre questa scelta: il fatto che la vicenda sia epica non implica che il linguaggio sia altisonante, verboso o desueto. Lo diventa quando do voce a personaggi altezzosi perché sono i personaggi che si danno quel tono e devo interpretarli, ma credo che al contrario questo romanzo sia ancora più scorrevole e gradevole, se possibile, del suo predecessore. Questo perché nel mio patto non scritto col lettore c'è la clausola di parlare con lui, e non di scrivere per una mia pura soddisfazione personale una novella Iliade. Ancora una volta, è la sospensione dell'incredulità che mi impone di riuscire a tenere il lettore centrato sulla vicenda, e un cattivo registro linguistico avrebbe relegato il romanzo al livello di barbosa esercitazione o divertissement intellettuale, l'avrebbe privato di quel realismo che è necessario per mantenere accesa la magia.

Assolutamente no, la vicenda è sapientemente dosata. Ma torniamo ad altri temi cari quali amore e sacrificio, due elementi fondamentali nel romanzo. Parliamone. 

“Sacrificio è una brutta, bruttissima parola, per come viene normalmente intesa. Sa di sforzi vani e logoranti, di disperazione, di pianto e perdita. L'accetterò e la userò nel suo significato etimologico di ciò che rende sacro.

Perché le persone fanno sacrifici? Perché desiderano che qualcosa a cui tengono molto, qualcosa che amano, possa realizzarsi. Un genitore può privarsi del sonno tutta una vita per mandare i figli all'università: si immolano per rendere sacra la vita dei loro figli intoccabile da ciò che loro hanno sofferto, e infatti il massimo dei sacrifici richiede sempre una vittima.

Quindi un sacrificio, per come l'intendo io, ha sempre e solo valenza positiva, è un frutto naturale dell'amore, non l'unico, ma in determinate circostanze.

Nel romanzo questa dualità tra amore e sacrificio è naturale. È naturale nella contrapposizione tra Demetra e Parthenope, è naturale nell'impresa azzardata di Hegeas Ci sono molti fili narrativi del romanzo, a ogni livello, dove questa dualità è ovvia.

Ma chiarito il senso del sacrificio, resta da chiarire quello dell'amore, che nelle sue diverse forme è sempre libero, o non è, o macera, o diventa quello che non dovrebbe essere.

E questo è anche il principale insegnamento della Sirena in questo romanzo: amare senza possedere. Senza possedere, ma riconoscendo il sentimento, ammettendone la sua esistenza. Mi piace pensare che questo romanzo è il suo modo di riconoscere a Hegeas l'amore che le diede.

 


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