Dossier Laocoonte, il libro che indaga sulla più clamorosa delle contraffazioni

Un libro, anzi un’indagine. Pagine in cui l’arte si mescola alla mitologia e alla storia. Un’attenta analisi mossa da un’ipotesi, o meglio da un’intuizione, come la definisce lo stesso autore, nel corso della quale si cerca di mettere insieme i vari elementi che compongono uno tra gli enigmi più affascinanti di sempre: la contraffazione del gruppo marmoreo del Laocoonte.

Enigma Laocoonte (edito Mimesis) di Francesco Colafemmina, classicista e saggista, è un viaggio affascinante nella più clamorosa delle contraffazioni dell’antico.




Il libro, che si sviluppa proprio lungo tre direttrici, quella mitologica, storica e quindi artistica, si apre con una prefazione della Catterson (di cui leggerete più sotto) a cui seguono delle pagine introduttive in cui l’autore rivela l’input iniziale che ha dato la spinta alla ricerca e alla scrittura: Avevo meno di dieci anni quando l’osservai per la prima volta; vi ritornai in molteplici altre occasioni, ma fu all’epoca dei miei studi universitari che quel volto, quei corpi sofferenti e muscolari, mi parlarono in maniera più chiara. Mi domandai allora, da semplice studente appassionato di bellezza greca, se davvero quel complesso marmoreo fosse un’opera dell’antichità.

Compiuta poi la parte mitologica, la ricostruzione prosegue con la narrazione documentata del ritrovamento del Laocoonte, avvenuto il 14 gennaio del 1506 in una vigna romana tra l’Oppio e l’Esquilino. La vigna apparteneva a Felice De Fredis, ufficiale della Camera Apostolica.

Tra i primi a essere informato della scoperta ci fu papa Giulio II che mandò sul posto, per un sopralluogo preliminare, Giuliano da Sangallo, il suo architetto. Quest’ultimo, insieme al figlio Francesco (che lo aveva accompagnato) e a Michelangelo, riconobbe in quelle statue il famoso Laocoonte menzionato da Plinio nella Storia Naturale.

Nella narrazione si evince forte quanto questo, che è considerato uno tra i massimi capolavori antichi, segni un nuovo inizio nella storia dell’arte e dell’estetica.

Come è evidenziato il ruolo fondamentale di Michelangelo nel ritrovamento del complesso marmoreo, insieme a papa Giulio II, che se ne impossessò. Il Buonarroti era arrivato a Roma nel dicembre del 1505, dopo avervi soggiornato nella primavera precedente, quando aveva ottenuto dal papa la commessa per il suo monumento funebre e un primo acconto per l’acquisto dei marmi a Carrara.

Intorno a loro ruotano le figure secondarie di De Fredis e di altri che cercarono di aggiudicarsi l’opera. A proposito di De Fredis, il suo ruolo risulta interessante perché era stato al centro di una precedente truffa che aveva visto Michelangelo protagonista, quando quest’ultimo, nel 1496, aveva realizzato un Cupido dormiente successivamente interrato e venduto da un mercante d’arte come autentico manufatto antico. Circostanza che non ne aveva però, intaccato la fama in ascesa. Di questi e altri accadimenti illuminanti l’autore ci racconta in una ricostruzione attenta e meticolosa.

La prefazione al testo è di Lynn Catterson, come detto all’inizio, tra le prime “a suggerire che Michelangelo fosse lo scultore del gruppo marmoreo del Laocoonte coi suoi figli, custodito in Vaticano”. Un’ipotesi che, formulata quasi vent’anni addietro, venne però subito stroncata da diversi accademici italiani.

Nel libro si compie un’analisi approfondita non solo delle diverse vicende parallele che incrociarono il ritrovamento del Laocoonte, ma si evidenzia anche il suo valore simbolico, oltre che culturale, artistico e politico. E forse è questo ciò che conta, il profondo e intimo significato racchiuso in questa splendida opera.

Francesco Colafemmina, classicista e saggista, è autore di diverse opere e traduzioni fra le quali ricordiamo: Dialoghi con un Persiano di Manuele II Paleologo (Rubbettino 2007), Il matrimonio nella Grecia Classica (Settecolori 2011), La democrazia di Atene (Passaggio al Bosco 2020).




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